AUDREY MESTRE – La Regina del Mare

di Paolo Nigro – ConradPodcast – Luglio 2021

L’uomo è sempre stato attratto dalle profondità marine per il desiderio inconscio di ritornare nell’elemento che ha dato origine alla vita.
Immergersi nel profondo blu è come tornare nel grembo materno.

Audrey Mestre Imagene FacebooK Pipin Ferreras

Pipin aprì la valvola e vide uscire delle bollicine; il pallone cominciò a gonfiarsi ed il cubano veloce richiuse la valvola.
Tata, il subacqueo che era con lui, diede una voce agli uomini del catamarano: “Il bombolino è pieno?”
“Si” disse qualcuno.
Pipi armeggiava con il fuoco di una telecamera quando vide arrivare sua moglie a bordo di un barchino.
Lasciò quel che stava facendo e le andò incontro.
“Sei pronta?”
“Si, non vedo l’ora di immergermi”
“Sei bella…”.
Audrey andò a prua a meditare.
La discesa di un apneista inizia dalla superficie; dal trovare una concentrazione massima e lasciando il mondo terrestre fuori dall’animo.
Jacques Mayol, il più grande di tutti, non si separava mai dalla sua coperta gialla bianca e nera, grazie alla quale trovava la forza interiore per spingersi negli abissi.
Pipin le diede un bacio e si ributtò in acqua per continuare la verifica delle attrezzature.
Il catamarano era circondato da decine di barche e telecamere.
Tutti erano curiosi di assistere al record.
Nessuno prima di allora aveva osato quella profondità.
Il record dei record.
Un interminabile discesa dentro sé stessi alla ricerca di una pace che non è possibile trovare in terra.
Un ultimo respiro, profondissimo e laggiù, dove il mare fatica ad arrivare, tutto il caos del mondo non ha più senso.
Scompare metro dopo metro nel blu scuro del Regno del Silenzio.

Chiudi gli occhi.
Non sei più a lavoro.
Non sei in palestra.
Non stai camminando.
Non hai le preoccupazioni del mondo.
Sei in mare; in quel mare dove è nata la vita.
Lasciati andare e respira a tempo con le onde.
Ascolta il vento.
Assaggia il sale.
Sei in posizione orizzontale a faccia in giù.
Apri gli occhi e guarda attraverso la maschera il mondo là sotto.
La senti la pace?
Prendi l’ultima boccata di ossigeno, inclina le braccia verso il basso, accompagna questo movimento verso il basso con il collo e le spalle.

Cominci a scendere … giù a capofitto nel turchino.
Quante volte hai ascoltato il battito del cuore nella vita di tutti i giorni?
Eppure adesso, mentre stai sprofondando nel silenzio, il cuore è l’unico rumore che ti accompagna.
Tum Tum Tum Tum.
Come sono i tuoi pensieri?
Li senti più vividi nella calma del blu?
Come amplificati da questo mondo primordiale dal quale discendiamo.
Pensaci, in fin dei conti passiamo nove mesi nel liquido amniotico; il primo oceano.

Pipin stava finendo di preparare la telecamera.
Era tardi, era teso.
La notte costellata di incubi, di paure ancestrali che erano risalite dalle profondità.
Solo Audrey, era stata capace di tranquillizzarlo; come al solito.
“Ti senti pronta?”
“Si”
“Facciamo un’altra immersione di riscaldamento”
Presero fiato insieme e scesero guardandosi negli occhi.
Tre minuti di pace e complicità.
Come un pesce ed una sirena avvinghiati in una stretta marina.
Una volta in superficie Pipin la baciò:”Quando torni, ti darò un altro bacio; ma a quel punto sarà diverso, perché sarai entrata negli annali dell’apnea con un nuovo record mondiale”.
Audrey sorrise al marito: “Non temere, vado e torno”.
Insieme si diressero verso la slitta e la donna si rinchiuse in un bozzolo di concentrazione.
Respiri sempre più profondi per sfruttare ogni più piccolo spazio dei polmoni, della gola, della bocca, della mente.

L’apnea è uno sport romantico.
Vai giù lungo un cavo per battere un record e dimostrare di essere il più forte, in primo luogo a te stesso.
Lo spirito di competizione è al massimo, come i rischi che si accettano.
Gli incidenti sono sempre in agguato, la morte sorride spesso.
Un ambiente che non è più il nostro da miliardi di anni ci reclama; ci attrae e non possiamo fare a meno del mare. Il mare …
Un vecchio pescatore un giorno prese un pezzetto di corallo e lo gettò in acqua; poi da una mezza noce di cocco fece colare il suo latte.
“Vedi, corallo e latte di cocco adesso sono insieme nell’acqua. Però il corallo resta corallo, mentre il latte di cocco ora è mare; quando vai sott’acqua non devi fare come il corallo, ma come il cocco. Quando t’immergerai in apnea non devi contrapporti al mare: non dovete esserci tu, il tuo corpo, la tua pelle e il mare, ma ogni componente del tuo essere deve divenire tutt’uno con l’acqua.”
Oggi sono tante le specialità dell’apnea, venti anni fa erano sostanzialmente tre.
Assetto costante, l’atleta va in profondità senza pesi e risale a nuoto senza mai toccare il cavo.
Assetto variabile, si scende con una zavorra e si torna in superficie con le proprie forze, nuotando o tirandosi lungo il cavo.
Il terzo modo è quello ove si ricerca la profondità massima.
Stiamo parlando dell’assetto variabile assoluto, il No Limits. L’apneista si getta là sotto con una slitta zavorrata e torna nel mondo degli uomini grazie ad un pallone di risalita.
È la disciplina dove si toccano le maggiori profondità, quella più spettacolare … quella più rischiosa.
Quella di Audrey Mestre, la protagonista della nostra storia.

Cinque minuti!
Audrey era racchiusa in sé stessa.
Lo sguardo oltre l’orizzonte e tutta la sua concentrazione era rivolta al respiro.
I sub di supporto fecero un gesto d’intesa e si immersero.
Pipin li guardò appena; le sue dita quasi tremanti, stringevano un cordino con il quale avrebbe attivato il meccanismo della slitta.
Uno strappo secco e la zavorra si sarebbe inabissata per centosettantuno metri, portandosi con sé la donna che amava e che gli aveva regalato i sette anni più belli della sua vita.

Quattro minuti!
Un uomo ed una donna che si erano incontrati in una spiaggia del Messico.
Lei una giovane studentessa di biologia marina, divisa tra la Francia ed il mare del Messico.
Lui un apneista tra i più forti del mondo.
Un cubano, che era fuggito da Fidel per poter vivere con libertà il mare.
“Mi interessa sapere cosa accada al corpo umano quando si scende in profondità, è vero che tutto il sangue del corpo si concentra nel torace per resistere alla pressione?”
“È vero che i polmoni diventano piccoli come un’arancia ed il battito cardiaco rallenta fino a 18/20 battiti al minuto?”
Tante domande ed una notte intera a guardarsi negli occhi.
Un amore quasi folle ed irrazionale, difficile da spiegare agli altri.
Si conoscevano da pochi giorni, ma erano bastati per legarli per sempre.
Due destini legati da quel senso di appartenenza al mare.
In fin dei conti tra le onde è tutto più semplice.
Un giorno Audrey preparò una sorpresa per Pipin.
“Guarda …”
La donna tuffò la testa sott’acqua e riemerse dopo cinque minuti. L’uomo stupefatto Pipin aveva capito che la moglie aveva un potenziale incredibile e che il mondo dell’apnea la attendeva. Audrey non era interessata ai record; a lei piaceva soltanto scendere giù, ma era curiosa.
“Cosa accade laggiù negli abissi?”
Gli allenamenti si intensificarono e con essi il legame con Pipin.
Una simbiosi della coppia ed il mare.
In poco tempo Audrey Mestre divenne una delle apneiste più forti del pianeta, capace di frantumare record, anche maschili.

Tre minuti!
Ancora pochi secondi e poi giù!
Il record attuale era di 160 metri; Pipin era sceso a 162 metri, ma la prestazione non era stata omologata.
“Audrey, ti va di scendere anche tu a quella profondità, saremo la coppia più profonda del mondo?”.
“Non lo so, non mi va di competere con mio marito”
“Audrey voglio che tu batta il mio record; tu sei diventata la mia maestra”.
In quei giorni Audrey era in forma smagliante.
In allenamento aveva toccato i 166 metri con facilità.
Nel successivo allenamento era andata ancora oltre: 170 metri e durante la risalita, mentre si trovava a 15/20 metri dalla superficie, si era sganciata dalla slitta ed era risalita pinneggiando.
La donna aveva resistito ad una pressione di 18 chili per centimetro quadrato di pelle e come se niente fosse aveva nuotato gli ultimi metri.
Una condizione atletica strepitosa, forse di quelle che si possono avere una volta nella vita.
Pipin non stava più nella pelle, colto da frenesia non vedeva più la realtà.
Due minuti!
“Perché non provare 172 metri, sono esattamente 600 piedi?”
I componenti della squadra lo guardavano increduli.
“Tu sei matto”.
Altri metri, altri metri!
Forse neppure i 180 erano sufficienti per lui.

Ed in questa follia si annidava anche un involontario spirito di competizione.
“Cazzo se Audrey riesce facile una merda come 170 metri, io posso arrivare a 200”.
Non era lui che parlava, ma il suo ego che conosceva soltanto la lotta per essere il più profondo degli uomini.
“Smettila, tratti i metri come noccioline”, gli disse il suo equipaggio. Audrey era stanca di tutte queste discussioni; lei voleva soltanto immergersi ed infine tutti insieme decisero la quota del record: 171 metri; un metro in più rispetto all’ultima immersione.
L’ego era stato battuto dal buonsenso.

Un minuto!
Quando la squadra si era riunita erano iniziate le discussioni.
Pascal sul fondo a centosettanta metri, poi Wiky a novanta; a sessanta un subacqueo del luogo, l’ultimo tratto quello più critico; la zona della morte, coperta da Matt, Tata e Pipin.
Gli ultimi metri sono sempre i più terribili; sei allo stremo delle forze ed il cervello può spegnersi.
Un totale black-out per centellinare le ultime molecole di ossigeno rimaste.
Se qualcuno non ti tira su in tempo sei morto.
L’organizzazione aveva un problema; mancava un uomo, ovvero il subacqueo in assistenza tra i 170 ed i 90 metri; un lungo tratto lasciato scoperto.
Questo ruolo era di Cedric, il subacqueo angelo custode di Audrey; un caro amico morto durante un’immersione poco tempo prima. Carlos a cui era affidata l’organizzazione aveva espresso il proprio disappunto, occorreva un presidio nel tratto scoperto, ma poi la squadra ed Audrey avevano deciso di lasciar perdere; in quel punto sono rari gli incidenti e poi l’idea di sostituire Cedric li infastidiva, come violare qualcosa di sacro.

Trenta secondi!
Il tempo inesorabile stava avanzando.
Il rumore della gente, il rollio delle barche, il ronzio delle telecamere.
Niente non esisteva più niente.
Solo il respiro.

Dieci secondi!
La bocca della donna che si contrae per prendere le ultime boccate d’aria.
Tre secondi!
L’ultimo respiro di Audrey.

Zero!
Moglie e marito si guardarono.
Pipin tirò con forza il cordino.
La sicura della slitta si sganciò e la sagoma di Audrey scomparve nel blu.
Pipin afferrò il cavo come al solito; dalle vibrazioni era in grado di capire l’andamento dell’immersione.
Qualcosa non va.
Il cavo ha un sussultò e Pipin si raggelò; la slitta per un attimo si era bloccata per poi ripartire. (Fuck!)
Passano pochi secondi e un colpo molto forte che fa tremare il catamarano.
La slitta era arrivata a fine corsa; da quel momento iniziava la lunga attesa per la risalita.
Arrivata a 171 metri ad Audrey non restava che aprire una valvola, gonfiare il pallone e schizzare veloci verso la luce e Pipin l’avrebbe accolta tra le sue braccia.
Un bacio per stemperare tutte le tensioni e poi via ai festeggiamenti, insieme alle centinaia di persone che attendevano in superficie. Eppure … Pipin tremava.
Guardava sotto, cercando di intravedere le bollicine che preannunciavano l’arrivo del pallone.
Niente.
Tata scese a venti metri.

Niente.
Tre minuti.
Niente.
Finalmente ecco le dannate bollicine ed il pallone ruppe la superficie dell’acqua … solo.
Audrey non c’era.

Cinque minuti.
La paura e la razionalità cominciarono a battagliare nell’animo di Pipin.
“Sicuramente avrà avuto un problema ed è rimasta sotto con un subacqueo.
Con Pascal probabilmente, i due risaliranno tra qualche ora rispettando i tempi della decompressione”.
Eppure il cuore di Pipin diceva altro; come un cavallo imbizzarrito doveva sapere.
“Datemi le bombole cazzo! Vado a vedere!”
Scese lungo il cavo, incontrando Wiky e l’altro subacqueo.
Di Audrey nessuna traccia.
A novanta metri intravide due sagome.
Pascal e … Audrey. Eccola amore mio!

Sette minuti.
Quando giunse da loro, un brivido ghiacciato bloccò Pipin.
Audrey era priva di conoscenza e non respirava dall’erogatore. Aveva avuto quel black-out che di solito avviene negli ultimi metri di risalita; ma questa volta Audrey aveva perso troppo tempo per ripartire.
Pascal stava avvolgendo attorno al polso di Audrey una boa che la riportasse in superficie.
Non poteva fare di più, quando vide Pipin gliela consegnò tra le braccia e tornò disperato alle sue quote per rispettare la decompressione.
Per Pascal sarebbero state ore di angoscia e speranza.
Pipin non perse tempo, con la velocità della disperazione prese la moglie e cominciò a risalire.
Gli occhi della donna erano aperti al vuoto, dalla bocca usciva una schiuma rossastra.

Otto minuti e trentotto secondi.
Quando Pipin bucò la superficie lo fece con una tale forza che il corpo di Audrey in buona parte uscì dal mare.
Sul catamarano non avevano niente con cui intubarla e la respirazione bocca a bocca non riusciva a liberarle le vie respiratorie ricolme d’acqua.
Pipin le sussurrava all’orecchio di combattere; mentre le fottute telecamere non smettevano di riprendere.
Una corsa disperata a riva, l’ambulanza, l’arrivo in ospedale …
troppo tardi.
L’anima di Audrey Mestre si era ricongiunta al mare.

Asfissia da immersione, morte accidentale.
Ma cosa era successo?
Al crepuscolo tutti i membri della squadra erano riuniti sulla spiaggia.
Pipin privo di forze con la testa china; tre giorni prima sua moglie era scesa senza problemi a 170 metri ed adesso non c’era più e lui non aveva più niente.
La discesa era avvenuta rispettando i tempi
Wiky a novanta metri aveva visto la slitta scendere giù velocemente, in anticipo sulla tabella dei tempi.
E quando Audrey era arrivata in fondo, almeno inizialmente era andato tutto bene, la donna si era sganciata dalla zavorra ed aveva aperto la valvola del bombolino che avrebbe dovuto gonfiare il pallone per risalire.
Ma il pallone non si era gonfiato.
Non c’era aria nella bombola.
Chi lo aveva controllato il bombolino?
Chi aveva risposto si?
Nessuno lo sapeva …

Pascal si era precipitato ad aiutarla pompando aria nel pallone con il suo erogatore.
Audrey era calma e non aveva chiesto aria.
Tra apneista e subacqueo c’è sempre un accordo.
“Se non ti chiedo aria, non me la dare”
Respirare a quelle quote non è uno scherzo ed avrebbe significato il fallimento del tentativo.
Un contratto crudele da rispettare.

Spinta dal pallone la slitta si era mossa di qualche metro ed intanto i secondi scorrevano inesorabili.
Piano piano Audrey era arrivata a 120 metri, con oltre quattro minuti di apnea, troppo tempo a quelle profondità; il black-out fu l’inesorabile conseguenza.
Quella maledetta quota che non era presidiata, a metà strada tra Pascal e Wiky.
Pascal che piano piano stava risalendo vide Audrey ricadere verso il fondo; la prese e cominciò a portarla a quota novanta, da Wiky; ma Wiky non c’era.
“No, non capite, il pallone l’ho visto, ma erano passati sei minuti, era evidente che l’immersione era andata male. Ho cominciato a risalire in superficie perché ho pensato che Audrey fosse sotto con Pascal e che avrebbero fatto le tappe di decompressione insieme. Mi rifiutavo di pensare ad altre ipotesi. Mi rifiutavo di credere che fosse morta”.
A quel punto era arrivato Pipin.
Un lungo silenzio avvolse il mondo di questi uomini.

In realtà le cose erano ben più complicate, come gli uomini.
Il rapporto ufficiale dell’incidente stabilì che vi furono tanti fattori: il cavo utilizzato era più sottile del solito e la zavorra sul fondo era in cemento piuttosto che piombo.
L’unione dei due elementi aveva generato una instabilità del cavo che aveva dei movimenti laterali causati dal moto ondoso. Questa cosa non era mai stata notata prima, perché gli allenamenti si erano sempre svolti in condizioni perfette; il giorno del record il mare era leggermente mosso.
La discesa e la salita non erano state perfettamente verticali e questo aveva causato degli stop alla slitta; soprattutto in fase di risalita.
Lo stop fatale era avvenuto a 164 metri, circa trenta secondi; troppo tempo.
L’indagine verificò che una boccola di teflon inserita per ridurre l’attrito tra cavo e slitta era danneggiata.
Ed infine il pallone esaminato dopo l’incidente mostrava una sezione logorata che avrebbe potuto causare una perdita; ma la quantità d’aria eventualmente persa non sarebbe stata sufficiente ad influire in modo significativo sulla funzionalità della slitta.
Rimane il dubbio del bombolino, carico, scarico e chi ha detto quel “SI”; ma Pascal aggiungendo aria ne aveva ristabilito la funzionalità. Purtroppo tutti questi fattori insieme avevano concorso nel perdere tempo.
Maledetto tempo.

Fatalità, imperizia, stupidità, disorganizzazione, sottovalutazione del rischio, dolo?
Le polemiche sulla morte di questa tenace apneista sono ancora vive tra gli appassionati.
Pipin diede la sua versione; Carlos, socio ed amico per molti anni, ne diede una completamente diversa.
Accuse, polemiche, rabbia; tutte cose terrestri.
Quello che è certo è che gli Dei del mare spesso chiedono la vita degli apneisti.
È uno sport crudele, ma donne e uomini non possono resistere a questo fascino amniotico.

Il suo corpo fu cremato.
Pipin prese l’urna e si gettò in mare; la sua ultima immersione con Audrey.
Scese a dieci metri e sparse le ceneri.
Le particelle rimasero sospese per un attimo, poi lentamente cominciarono a mischiarsi nell’oceano; come latte di cocco.
Audrey Mestre era tornata a casa.

Tratto da conradpodcast.it

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