Dalla malattia alle Olimpiadi

Era il 1944 e Wilma Rudolph aveva solo 4 anni quando contrasse la poliomielite.
I medici interpellati proferivano sempre lo stesso parere: Wilma non sarebbe mai più tornata a camminare.
Un destino segnato da una malattia che tra il 1940 e 1950 uccideva o paralizzava più di mezzo milione di persone nel mondo ogni anno.
Wilma però non si arrese, voleva sconfiggere la malattia a tutti i costi. E non solo riuscì nel suo intento ma diventò persino una delle atlete più famose al mondo.

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Wilma Rudolph era la ventesima di ventidue figli di una povera famiglia di colore del Tenesee.
Quando venne alla luce, il 23 Giugno del 1940, pesava solamente 2 chili. Il padre, Ed, lavorava come fattorino, mentre la madre, Blanche, come domestica nella città di Clarksville, in un periodo segnato non solo dalla depressione economica ma anche dalla forte segregazione tra bianchi e neri.
La casetta in legno dei Rudolph infatti si trovava in un area riservata alle residenze dei neri: una casa in cui i fratelli maggiori si occupavano dei più piccoli e in particolare di Wilma e della sua cagionevole salute.

Morbillo, scarlattina e polmonite furono le prime malattie con cui Wilma dovette combattere fin dalla nascita.
Siamo negli anni ’40 e queste malattie a differenza di oggi erano molto pericolose. La grave polmonite che attaccò la piccola la portò infatti a un passo dalla morte.
La bambina si riprese, ma la lotta era appena cominciata: sua madre si accorse che qualcosa non andava nel piedino e nella gamba sinistra della bambina.
Wilma aveva solo quattro anni quando la poliomielite cominciò a manifestarsi.
La madre di Wilma però non aveva intenzione di accettare incondizionatamente le parole scoraggianti del medico.

«Il medico disse a mia madre che non avrei più camminato, ma mia madre non ci volle credere e mi disse che sarei guarita. Finii per credere a mia madre»

Wilma Rudolph

In quel periodo accedere alle cure di un ospedale non era affatto semplice. Ci troviamo in periodo molto buio per i diritti civili: la forte segregazione razziale era già ben presente e di li a poco avrebbe preso forma definitivamente l’apartheid.
La madre di Wilma riuscì a trovare l’unica struttura ospedaliera che avrebbe potuto prendersi cura di sua figlia: era l’ospedale del college per neri della Fisk University a Nashville, distante 80 km da casa loro.
Sedute nelle ultime file di un autobus – perché solo li potevano sedere le persone di colore – fecero circa 200 viaggi per accedere a quei trattamenti.

Dopo la lunga riabilitazione, i medici applicarono alla gamba della bambina un tutore in metallo: nonostante la strana andatura Wilma poteva finalmente muoversi da sola.
La sua condizione le impediva di condurre una vita uguale agli altri bambini, ma la Rudolph non aveva intenzione di arrendersi e di rimanere inerme ad osservare il mondo che si muoveva intorno a lei: avrebbe fatto di tutto per tornare a camminare.
Quel tutore fece parte della sua vita per quattro lunghi anni finché all’età di 9 anni i medici le tolsero quella gabbia sostituendola con una scarpa ortopedica. Dopo ulteriori due anni anche la scarpa speciale fu messa da parte.
Wilma a 11 anni era tornata finalmente a camminare.
Per la famiglia già quello sembrava un miracolo, ma non era ancora finita: di li a poco l’incredibile coraggio e perseveranza della ragazza l’avrebbero fatta diventare uno dei personaggi sportivi più famosi di sempre.

Chi l’avrebbe mai detto che Wilma Rudolph, una bambina malata di poliomielite, avrebbe potuto non solo pensare di partecipare alle Olimpiadi, ma anche di vincerle?
A 16 anni vinse a Melbourne la medaglia di bronzo nella staffetta 4×100. Wilma disse però che “il bronzo non luccicava” e così alle Olimpiadi di Roma del 1960 puntò più in alto vincendo 3 medaglie d’oro: nei 100 m., nei 200 m. e nella staffetta 4×100 m.
La Gazzella nera, così fu soprannominata in Italia, riuscì a registrare due record mondiali e fu la prima ragazza americana a vincere 3 medaglie d’oro in un’unica edizione.
Quella bambina, che sarebbe dovuta rimanere invalida per tutta la vita, era diventata l’atleta più veloce al mondo.

La storia di Wilma Rudolph è senza ombra di dubbio emozionate.
Nonostante le incredibili difficoltà che lei e la sua famiglia si trovarono a fronteggiare, non smisero mai di lottare.
Avrebbero avuto tutte le ragioni per maledire il destino ingrato, la segregazione razziale, per accusare la depressione economica, la sfortuna e perché no, il mondo intero.
Ma scelsero di lottare …

La vita, in fin dei conti, è sempre e solo una questione di scelte.

Tratto da upgradeyourmind.it

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