Grazie all’incidente
diventa marito e padre

Foto da Corriere.it

È il 9 luglio 2003, Milo Papini ha 30 anni e sta tornando dal lavoro in motorino lungo la strada che va da Compiobbi a Firenze: nella corsia opposta un’auto azzarda un sorpasso a tutta velocità. Milo cerca di schivarla ma non ci riesce. L’impatto è molto forte. Milo non ricorda niente. Rimane in coma per cinque giorni, poi in coma farmacologico per quasi un mese. Si sveglia: “Ero sdraiato sul letto e sentivo uno strano prurito alla gamba, volevo grattarmi ma gli infermieri mi hanno detto che non potevo. Mio padre stava accanto al letto e mi ha detto che la mia gamba sinistra era stata amputata. Mi sono reso conto di avere solo metà coscia, il resto della gamba era sparito”.

Sono passati vent’anni da quel drammatico incidente. Milo sorride: “Quel giorno è stato una benedizione perché mi ha reso l’uomo felice che sono ora, marito e padre di due splendidi bambini”. Accanto a lui, nella casa di Firenze sua moglie Patricia e i figli Emanuel e Margherita. Al posto della gamba sinistra c’è una protesi. Ha un ginocchio elettronico in alluminio e titanio, un inserto in resina e un piede in carbonio. Cammina piano, ogni passo è una sfida: “La protesi ti stringe e ti appesantisce, d’estate è una fatica enorme”.

Il destino era cambiato nei cinque mesi in cui Milo si trovava Centro Inail di Budrio (Bo) per la riabilitazione: «Patricia è ivoriana, era una badante di una signora che accompagnava il figlio malato a Budrio. Abbiamo parlato spesso, un giorno ho trovato il coraggio e le ho chiesto il numero di telefono».

La storia è culminata nel matrimonio, nel 2008: poi sono nati Emmanuel e Margherita, che ora hanno 14 e 10 anni. Nel frattempo Milo si è avvicinato alla chiesa valdese. “La mia fede è più forte oggi.”

Ogni notte, prima di andare a dormire, si toglie la protesi e mette il ginocchio elettronico in carica. La mattina dopo, li rimette. “È faticoso, è come avere la palla di un prigioniero, ma vivo la fatica non come sofferenza ma come alleata, devo accettarla, ci vuole forza di volontà”.

All’inizio non è stato facile per Milo: «Quando mettevo i pantaloncini sentivo il peso degli sguardi degli altri su di me. Ora non ci penso più, questa protesi è parte di me. Sono consapevole che questo non è un peso, ma un dono che la vita mi ha fatto. E ho capito che il nostro potenziale di esseri umani è molto più sviluppato di quanto possiamo credere. E’ nei momenti difficili che ce ne accorgiamo».

Tratto da it.italy24.press

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