Il monaco e la brocca

Tu ti meravigli, come di un fatto strano, di non essere riuscito a liberarti della tristezza e della noia, malgrado i lunghi viaggi e la varietà dei luoghi visitati… È il tuo animo che devi cambiare, non il cielo sotto cui vivi! Anche se attraversi il vasto oceano, anche se ti lasci dietro terre e città, dovunque andrai ti seguiranno i tuoi vizi. Perché ti meravigli che non ti giovino i viaggi? Tu porti in ogni luogo te stesso; t’incalza cioè sempre lo stesso male che t’ha spinto fuori. Chiedi perché tu non trovi sollievo nella fuga? Perché tu fuggi sempre in compagnia di te stesso.

Lucio Anneo Seneca

C’era un monaco che viveva da parecchi anni in un monastero: giovane esuberante e facoltoso, aveva lasciato ogni cosa per diventare santo.

Prima aveva mani come l’avorio, ora incallite come le squame dei coccodrilli; prima il suo volto era liscio e rasato, la sua capigliatura lucida di unguenti, la sua toga adorna di fermagli d’argento: ora, tosato come una pecora, portava sotto la tonaca un duro cilicio. Aveva sì domato la carne; ma una passione ancora resisteva tenace: la tendenza ad adirarsi.

Se un fratello nel mietere lasciava indietro una spiga, subito gli strappava di mano la falce con gesto iracondo. Se al vicino di stallo sfuggiva una nota falsa nel coro, arrotava i denti e gli allungava una gomitata.

Un giorno si presentò all’Abate: « Padre », gli disse, « ben vedo che non sono fatto per vivere con i fratelli: trovo in loro continue occasioni di peccato. Io mi figuravo che i monaci fossero tutti perfetti, ma invece mi sono d’inciampo. Mi ritirerò nel deserto, al di là del fiume. Laggiù, solo con Dio, non avrò più occasione di adirarmi ».

E trascurando gli ammonimenti dell’Abate, prese con sé una brocca per attinger acqua dal fiume e se ne partì.

Sdraiato sulla tiepida arena, dormì il più bel sonno di vita sua. Poi cantò i suoi dodici salmi senza una nota stonata, e pregò con fervore. Com’era quieto e felice in quella solitudine, in quel silenzio! .

Ora occorreva andare al fiume per attinger acqua. Andò e tornò, salmeggiando quasi come in estasi. Ma — che è che non è — la brocca si rovesciò, e giù tutta l’acqua a correre per l’arena.

« Pazienza! », disse il monaco, e rifece la via andata e ritorno, quieto come l’olio, meditando sulla morte.

Posò a terra la brocca, e quella di nuovo gli sfuggì di mano, Vi rimase un po’ di umidore, ma dentro neppure una goccia, «Maledizione! Cos’è mai questo? Il diavolo mi vuol tentare. Orsù, pazienza! » Trafelato, riprende la via, attinge e fa ritorno. E la brocca rotola a terra una terza volta.

«Maledetta sii tu! Vattene al diavolo! » Una pedata furiosa, e la brocca va in cento pezzi. Sferra calci ai frantumi, e solleva un polverone di sabbia. Il povero giovane ha capito, e torna piangendo al monastero. « Padre mio, mea culpa! » dice all’Abate. « Ho rotto la brocca a furia di calci: ecco qua i cocci. La causa delle mie collere non è la compagnia dei fratelli: il nemico (e si picchiava il petto) è qui dentro! »

Dagli Apoftegmi dei Padri del deserto
Tratto da La morale della favola
a cura di Laura Vagliasindi

Tutto è Uno,
tu esisti, perciò sei l’Uno
e tutto ciò che ti appare altro
– persone, animali, cose, accadimenti e situazioni –
sei sempre tu,
che ti mostra come uno specchio
cosa accade al tuo interno in frequenza:
il tuo atteggiamento verso la Vita

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