Una storia vera
L’orlo
Andrea Cagan
Tutto continua a muoversi e a cambiare.
Niente è come noi crediamo che sia
In piedi sull’orlo potevo sentire il calore quasi insostenibile che mi passava attraverso la suola delle scarpe. Gas venefici sì aprivano la strada tra fenditure nella cenere vulcanica, distruggendo ogni forma di vita con cui venissero a contatto. Come se la loro determinazione fosse tale che nemmeno la Terra poteva trattenerli.
Era metà mattino. Il vulcano della Big Island, nelle Hawaii era in fase di eruzione. La lava rovente colava verso il mare e una nuova terra prendeva forma sotto i miei occhi. Stavo assistendo alla creazione, camminando su un terreno appena formato, una terra che il giorno prima non c’era.
Mentre mi avvicinavo avevo oltrepassato un’innumerevole quantità di cartelli: PERICOLO! DIVIETO D’ACCESSO! Li avevo visti, li avevo valutati, avevo avvertito la paura che quei cartelli dovevano instillare e, nonostante tutto, i miei piedi avevano continuato a camminare. Mi sentivo costretta a proseguire verso il calore, verso quei gas solforosi così densi che li si poteva vedere mentre si sollevavano nell’atmosfera, fluttuando sopra una massa liquida ribollente della tonalità di rosso più vivida che avessi mai potuto immaginare nella mia vita e nei miei sogni. Mi ero sentita inesorabilmente attratta fino a quel punto, fino all’orlo, dove la lava al calor rosso ribolliva e traboccava, per scendere sulla fiancata della montagna e incontrare la fredda superficie blu del mare. La morte era così vicina che ne percepivo l’odore. Capivo che restare viva era una mia scelta.
Non ero sola. La mia amica Katrina e io eravamo arrivate
insieme fino all’orlo del cratere. Dopo avere scalato un rigonfiamento nel terreno appena formatosi, ci eravamo accorte che i segnali di pericolo erano finiti, come se ormai non fossero più necessari. Accanto a noi passavano gli uomini della squadra della protezione civile, con le loro giacche arancioni fluorescenti che sembravano scialbe se confrontate col rosso luminescente della lava. Eravamo le uniche “civili” che si fossero avventurate fin lassù, e loro ci guardavano con disapprovazione, ma non cercavano di fermarci.
La responsabilità era solo nostra.
Mi affacciai all’orlo fin dove era umanamente possibile arrivare e osservai la massa rossastra che si gonfiava e traboccava, per espandersi su nuove superfici, estendersi e ridefinire i propri confini. Chi avrebbe potuto dichiararsi padrone di una simile manifestazione della potenza di Dio? Quale persona avrebbe potuto piantare una bandiera su quel terreno vergine e pretendere di dargli un nome? Chi avrebbe potuto scioccamente illudersi di controllare la Terra stessa?
Mentre guardavo la lava sottrarre spazio al mare, mi domandavo: è l’acqua che ha il sopravvento sul fuoco, o viceversa? Il mondo stesso sembrava mutare sotto i miei occhi e non potevo fare altro che restare inerte a guardare. Ero spaventata e impotente, quando mi resi conto che fino a quel momento avevo creduto che l’orlo del cratere fosse davvero il confine. Ma io stessa vedevo il confine estendersi e consumare ogni cosa al proprio passaggio. Compresi che tutto continua a muoversi e a cambiare. Niente è come noi crediamo che sia.
La lava passò pericolosamente vicino al mio piede destro. Le terminazioni nervose reagirono, anticipando la sensazione di calore insopportabile che avrebbe potuto distruggermi il piede, la gamba, l’intero corpo. La mia respirazione si era accelerata, la paura mi soffocava, impedendomi di ragionare. Le fuoriuscite di gas erano così intense che il semplice atto di respirare richiedeva uno sforzo mentale. Ed era di cruciale importanza che non smettessi di farlo…
Più profondamente respiravo, più riuscivo a calmarmi… fino a quando mi resi conto dello sconvolgente desiderio di tuffarmi, non in acqua, ma nel mezzo della lava, nel centro stesso della creazione della Terra. Ogni paura mi aveva abbandonato. Avrei potuto farlo, se solo le mie gambe avessero cominciato a muoversi. Dovetti farmi forza per tenerle a freno e impedire loro di spingermi in avanti. Non che volessi morire. Assolutamente. Ero felice della mia vita e il suicidio non rientrava nei miei programmi, né mai vi era entrato. Eppure l’impulso gettarmi nel fuoco era soverchiante.
Il mio corpo si protese in avanti per saggiare il limite fin cui potevo arrivare. Mi trovai sopra il fuoco e mi accorsi sensazione non mi era estranea. Era una parte di me, una forza vitale così forte e attraente che avrei voluto fondermi con essa, volare nel suo ventre, farmi consumare dal calore profondo e sessuale del fuoco.
“Non farlo”, mi suggerì la mia voce interiore. Ma perché era meglio restare da questo lato? Entrambi i lati avevano mistero, luce e ombra e infinite possibilità. Ciascuno aveva la propria versione dell’orlo.
Dove sarebbe finito tutto quanto? Mi guardai intorno. La terra continuava a nascere dal fuoco. L’orlo si stava espandendo e si allontanava da me, mostrandomi che stare ferma equivaleva a tornare indietro e pertanto rimanere immobile era impossibile.
Mi stavo muovendo, avanti o indietro, perché anche la terra sotto i miei piedi si stava muovendo. Qualunque cosa facessi o meno, io ero parte del movimento, all’interno della creazione della distruzione della Terra stessa. Anche se io ero lì e pensavo di non fare niente.
Katrina mi toccò il braccio. Io la guardai. Lo stava sentendo anche lei. Eravamo candidate a volare oltre l’orlo dell’abisso una versione hawaiiana di Thelma e Louise?
Voltammo le spalle alla seduzione di quell’impulso, respirando a fatica. Avevamo sentito la spinta verso il nostro inevitabile futuro.
Un giorno sarebbe accaduto, ma non in quel modo. Questo sarebbe stato un modo troppo drammatico, surreale e, in dei conti, troppo insensato. Saltare verso la morte? Ridicolo! E tuttavia la massa fusa e sciropposa alle nostre spalle continuava a chiamarci.
Ero stanca di sforzarmi per respirare. Cominciai ad allontanarmi, seguita da Katrina. Dapprima fu come farsi largo in un denso budino, lottando contro la marea, cercando di resistere all’impulso inesplicabile di tuffarsi nel cuore del ciclone, ma riuscimmo a resistere e ci dirigemmo verso il basso, camminando sul terreno poroso color carbone.
Dovunque mettessi piede, prima era passato l’orlo: la linea sottile tra qui e lì, tra questo mondo e l’altro. Anche le parti più lisce e indistinte di questo terreno appena formatosi erano state per un istante affilate come rasoi. Ora erano semplicemente parti del tutto, ragionevolmente solide e sicure.
Mentre ci allontanavamo dal territorio sacro, gli uomini con la giacca arancione ci guardarono di nuovo irritati: eravamo una preoccupazione in più. Avevo lasciato la terra di nessuno, dove i gas comandavano l’atmosfera e il fuoco comandava il mare. E adesso queste persone pensavano di comandare qualcosa, mentre io rivestivo il ruolo di dissidente: qualcuno che aveva disobbedito alle regole e non era degno di fiducia. Le loro espressioni severe erano mascherate da un atteggiamento efficiente che lasciava intendere quale importante lavoro dovessero fare.
Io però potevo intravedere la paura affacciarsi anche su loro volti, in una presa di coscienza della caducità universale nell’incontro con il lato spaventoso della Creazione. Avevano constatato quanto poco controllo avessero su qualunque cosa. Avevano compreso quanto poco contassero nello schema del mondo. Ma sembrava che non volessero farlo sapere a nessuno.
Non dissero nulla mentre noi passavamo, dato che in quel momento stavamo camminando in quella che consideravano la giusta direzione. Quantomeno, ci stavamo allontanando dal pericolo, o così pensavano loro.
Dov’è la sicurezza, se ogni momento della vita contiene l’equivalente dell’orlo del cratere? Noi ora stavamo rientrando nei confini della società, dove la decisione sulla vita e sulla morte non spettava più all’individuo. Un mondo in cui esistevano delle leggi contro la morte. Forse qui la paura serviva allo scopo, forse era solo un’illusione per farci proseguire il nostro viaggio sul sentiero, mantenerci al sicuro e ricordarci le lezioni necessarie della vita.
O forse era solo uno dei modi sorprendenti e misteriosi con cui Dio ci fa seguire le Sue leggi, anziché le nostre, per impedirci di arrivare troppo vicini all’orlo.
Tratto dal libro di Arielle Ford
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