Non è più tempo di morire
Per l’uomo la morte è difficile da accettare:
si aggrappa a cose che non esistono più …
brama invano un modo per far andare indietro il tempo,
per tramutare la morte nel suo contrario.
Ma se il tempo è relativo e niente se ne va sul serio,
e sono possibili sovrapposizioni simultanee di diverse realtà,
allora non dovrebbe essere possibile andare a riprendere
quel che si credeva morto da tempo
per creare una nuova realtà
nella quale ciò che è morto torni a vivere?
Anonimo
Un ricordo rivissuto
di Kathi Diamant
Avevo diciannove anni la prima volta che sentii il suo nome. Era l’estate del 1971 e studiavo all’Università della Georgia. Nel bel mezzo della traduzione del racconto La metamorfosi di Franz Kafka, il professore di letteratura tedesca interruppe la lezione.
“Fraulein Diamant, lei è per caso parente di Dora Diamant?”.
Il mio cognome è insolito, e fino ad allora non avevo mai conosciuto nessuno, al di fuori della mia famiglia, che si chiamava Diamant. “Può darsi”, risposi, speranzosa. “Chi è?”.
“Dora Diamant fu l’ultima amante di Franz Kafka”, spiegò il professor Frederick. Come avevamo imparato durante le sue lezioni, Kafka era uno degli scrittori più importanti e più incompresi del ventesimo secolo. “Dora e Kafka erano molto innamoriati”, continuò il docente. “Per la prima volta nella sua breve vita, Kafka era veramente felice. Ma soffriva di tubercolosi e morì tra le braccia di Dora”.
Frederick aveva catturato come non mai l’attenzione di tutti i suoi allievi. “E lei …” fece una pausa, si appoggiò al leggio e si sporse in avanti facendo uno strano sorriso, “ne bruciò le opere!”.
Dopo la lezione corsi in biblioteca. Nelle biografie di Kafka erano numerosi i riferimenti a Dora Diamant. Dora era una Chassid e una sionista che sognava di emigrare in Palestina. Era giovane nel 1923, quando incontrò Kafka sulle sponde del Mar Baltico: aveva solo diciannove anni, la stessa età che avevo io in quel momento, il che non fece che aggiungere una certa emozione al pensiero di poter essere imparentata con lei. Dora era una donna straordinaria, di grande intelligenza e appassionata.
Il problema, quando si fanno delle domande, è che bisogna essere pronti a ricevere qualsiasi risposta. La famiglia di mio padre era ebrea e si era trasferita negli Stati Uniti molto tempo prima, arrivando da un punto imprecisato dell’Europa.
Quando chiamai mio padre per sapere se potessimo essere imparentati con Dora Diamant, scoprii con orrore che i miei nonni avevano ricevuto moltissime lettere, alla fine degli anni Trenta, da persone che portavano il nostro stesso cognome e che cercavano di scappare dall’Europa. Le lettere non avevano mai ricevuto risposta.
“Perché nessuna risposta?”
“Non eravamo sicuri chi fosse davvero questa gente. Non sapevamo come avessero avuto il nostro indirizzo o che cosa volessero in realtà”, spiegò papà. “Non potevamo lasciarci coinvolgere”.
Per la prima volta, mio padre parlò dell’antisemitismo che aveva dovuto subire crescendo a New York City e mi raccontò di scuole, hotel e circoli “separati”. Io non gli feci più domande. Restituii i libri alla biblioteca e abbandonai l’indagine sulla possibile parentela con Dora Diamant.
La storia si sarebbe potuta concludere qui, però Dora rifiutò di farsi dimenticare. Nel corso dei successivi tredici anni continuò a infiltrarsi nella mia vita. “Che cosa farebbe Dora al mio posto?” mi chiedevo quando mi trovavo di fronte a un dilemma. “Se avrò una figlia, la chiamerò Dora”, annunciai. E quando mi sposai, mantenni il cognome Diamant, come aveva fatto Dora al momento del suo matrimonio, parecchi anni dopo la morte di Kafka.
Nel 1984 tutto cambiò radicalmente quando aderii a un gruppo chiamato “Vivi il tuo sogno”. Un elegante nonna dai capelli bianchi, Joyce Chapman, raccolse intorno a sè il primo gruppo di dodici donne. Il nostro primo obiettivo era scoprire i sogni scrivendo un diario, dopodichè fare in modo che si realizzassero. Il segreto, naturalmente, era scoprire che cosa veramente desideravamo.
Avevo trentadue anni e facevo un lavoro che consideravo bellissimo: ero copresentatrice di un popolare talk show televisivo del mattino a San Diego, in California, ed ero sempre sotto i riflettori. Ogni giorno incontravo gente affascinante, personaggi di successo, stelle del cinema, autori di bestseller, campioni sportivi e leader politici.
Ma, tenendo un diario e facendo altre esperienze di scrittura, mi resi conto che stavo vivendo una vita basata più sull’apparenza che sulla sostanza. E che dopo cinque anni il mio matrimonio cominciava ad appassire.
Alla fine delle sedici settimane di diario, il mio nuovo sogno era vivere una vita più magica, più significativa. Ancora non sapevo che senso ciò potesse avere, o almeno non ne ero completamente certa.
Entro un mese Dora tornò nella mia vita. Mi capitarono strane e inspiegabili coincidenze che la riguardavano, indizi che mi conducevano sempre più in profondità nel mistero del nostro legame. Ogni mio cambiamento sembrava portarmi verso di lei.
Mentre lei continuava a riaffiorare nella mia mente, le domande sul suo conto si moltiplicavano. Che cosa era accaduto dopo la morte di Kafka? Perchè aveva distrutto i suoi manoscritti? Era sopravvissuta all’Olocausto? Perchè io ne ero così ossessionata?
Un anno dopo mi ritrovai a Praga, davanti alla tomba di Kafka. Mi parve di rivivere il suo funerale e di assistere al dolore inconsolabile di Dora. Un’altra serie di coincidenze mi condusse alla piccola stanza di un sanatorio fuori Vienna. Dove Kafka era morto nel 1924. Andai fino all’Università Ebraica di Gerusalemme per esaminare l’albero genealogico dei Diamant, che seguiva ben trecento famiglie con questo cognome.
Cinque anni più tardi, a Londra, rintracciai la signora Marianna Steiner, la nipote di Kafka e la sua più anziana parente ancora in vita. Marianna aveva assistito Dora moribonda. Mi disse che le sue ultime parole erano state:“Fai quello che puoi”.
Ogni volta che trovavo delle risposte, queste facevano scaturire nuove domande. Anche se era stato Kafka a chiedere a Dora di bruciare tutti i suoi lavori che lei possedeva al momento della sua morte, c’era un dettaglio che il mio professore aveva trascurato: lei non lo aveva fatto. Li aveva conservati … anche se li aveva mantenuti al riparo dalla pubblicazione. Perchè? Era il suo modo di attenersi alla volontà di Kafka?
Nel frattempo, nel 1988, cominciai a scrivere articoli per giornali, basandomi sulla mia esperienza di intervistatrice di personaggi famosi. Due anni più tardi divenni una scrittrice free – lance a tempo pieno per poter scrivere la storia di Dora. Da allora ho completato due stesure di un romanzo, un testo teatrale e una sceneggiatura, tutti sulla sua storia d’amore con Kafka, basati sui risultati delle mie ricerche.
Anche se si potrebbe ritenere Dora responsabile della perdita dei manoscritti mancanti di Kafka, attraverso di me lei può essere considerata responsabile anche del loro recupero.
Quando i nazisti salirono al potere nel 1933 la casa di Dora fu messa sottosopra e qualunque pezzo di carta venne rubato, compreso il materiale di Kafka. Dopo la caduta del Muro di Berlino nel 1989, in tutta la Germania Est vennero trovati bunker, sotterranei e magazzini pieni fino al soffitto di documenti originariamente confiscati dalla GESTAPO. Un po’ per volta il loro contenuto venne esaminato dagli studiosi. Di recente, ho avuto il permesso di cominciare la ricerca dei testi perduti di Franz Kafka con l’aiuto della fondazione intitolata al grande scrittore.
Dora era sopravvissuta all’Olocausto. Prima era fuggita a Mosca e poi, dopo un faticosissimo viaggio durato due anni, era giunta a Londra, dove era morta nel 1952, tre mesi dopo la mia nascita. Mentre io ero in gestazione nel ventre di mia madre a New York City, lei giaceva in coma in un ospedale londinese. Chi può saperlo, mi domando talvolta, quali connessioni possono nascere nel sottile confine tra la vita e la morte?
Malgrado le mie ricerche a Gerusalemme e altrove, non ho mai scoperto se ci fosse una parentela tra me e Dora. Ma la faccenda non è più importante. C’è un legame tra noi. Io sono la persona che sono oggi a causa di Dora. E chissà dove si concluderà questa storia?
Come scrisse una volta Kafka: “Io sono una memoria rivissuta”.
Tratto dal libro Cioccolata calda per l’Anima
di Ariel Ford
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