Quando non rimane niente

“Che cosa intendi quando dici: <<Vado a casa?>>  Non presupponi di essere separato dalla casa dove stai abitando?”.
“E’ ovvio che lo sono”.

“E cosa intendi quando dici: <<Oggi il mio corpo mi fa male?>> Chi è l’io che si ritiene separato dal corpo e che ne parla come se fosse una sua proprietà?”.
Mi venne da ridire: “Sono solo convenzioni linguistiche, Socrate. Modi di dire”.
“Certo, ma le convenzioni linguistiche rivelano il modo in cui vediamo il mondo. Infatti, tu ti comporti come se fossi una mente o qualcosa di indefinibile dentro il tuo corpo”.

“E perché dovrei fare così?”
“Perché hai paura della morte e vuoi vivere. Tu vuoi il Per Sempre, aneli all’Eternità. Nella tua convinzione illusoria di essere una mente, uno spirito o un’anima, cerchi di sottrarti al tuo contratto con la mortalità. Forse in quanto mente potrai svolazzare libero dal corpo dopo la morte…”.
“E’ una possibilità”, ribattei.

“É una possibilità che non è più reale dell’ombra di un’ombra. La coscienza non è nel corpo: il corpo è nella coscienza. E tu sei quella coscienza, non sei la mente-fantasma che ti provoca tanti guai. Tu sei il corpo, ma sei anche tutto il resto. Ecco il senso della tua visione. Solo la mente si oppone al cambiamento. Se ti rilassi nel corpo, senza pensieri, sarai felice, libero e appagato e non proverai più nessuna separazione. Sei già immortale, ma non nel modo che immagini o speri. Eri immortale ancora prima di nascere e lo sarai dopo la dissoluzione del corpo. Il corpo è coscienza: mai nato e mai morto. Cambia soltanto. La mente, il tuo ego, le tue convinzioni personali, la tua storia e la tua identità: tutto ciò finisce con la morte. Quindi, a cosa servono?”. E sprofondò nella sedia.

“Non sono sicuro di avere capito bene”.
“Naturale!”, ammise ridendo. “Le parole servono a poco se non ne realizzi la verità. E, quando lo farai, sari finalmente libero”.
“Sembra interessante”.
“Sono d’accordo, è molto interessante. Ma queste sono solo le basi per quello che viene dopo”.

Riflettei qualche istante prima di fargli la prossima domanda: “Socrate, se io non sono i miei pensieri, che cosa sono?”
Mi guardò come se mi avesse appena spiegato che uno più uno fa due e io poi gli avessi chiesto: “Sì, ma che cosa vuol dire uno più uno?”. Prese una cipolla dal piccolo frigorifero e me la diede: “Sbucciala, strato dopo strato”. Iniziai a pelare la cipolla: “Che cosa hai trovato?”.
“Un altro strato”.
“Continua”.
Continuai a sbucciare. “Altri strati, Soc”.
“Continua a sbucciare finché non restano più strati. Che cosa rimane?”.
“Non rimane niente”.
“Non è vero, qualcosa rimane”.
“E cosa?”
“L’universo”.

Tratto dal libro La via del Guerriero di Pace
di Dan Millman

1 commento

  1. Massimo Bonifacio

    Quando ero un pischello (8-10 anni) ero convinto che dove avessi trovato la fine del grande Universo spostandomi da me verso il “lontano” avrei trovato il piccolissimo e sarei tornato a questi ordini di grandezza del quotidiano… della larghezza delle mie braccia, grande abbastanza da abbracciarla, abbastanza microscopico da perdermici dentro abbastanza enorme da perdermici dentro.
    Socrate e la sua maieutica…
    Un Grande!!! o un Piccolo?!?

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