Senza gambe, né respiro

Foto di Ramon Grau da Pixabay

Nelle Infinite Possibilità dell’Unità che genera e compone ogni cosa, non vi sono limiti, se non per chi se li pone.

Queste sono le storie di Karim e Desmond raccolte dagli operatori che lavorano al numero verde per Richiedenti asilo e rifugiati.

 

LA STORIA DI KARIM

Come mi chiamo? Karim.
Quanti anni ho? 32.
Da dove vengo? Dal Senegal, più precisamente dalla Casamance.
Qual è la mia storia? Da quando sono nato mi manca il respiro.

Il giorno in cui ho compiuto 10 anni il mio Paese è entrato in guerra con sé stesso. Nella regione in cui vivevo, a Casamance, è iniziato un conflitto tra i militari del Governo e quelli legati al partito dell’opposizione. A partire da quel giorno, la violenza non ha mai più lasciato le strade e le piazze della mia città provocando migliaia di morti e sfollati.
Mi mancava il respiro. Sono cresciuto e, da adolescente, correndo per tornare verso casa dalla mia famiglia, mi sentivo di svenire. I miei genitori pensavano fosse per la condizione che vivevamo, per quello che accadeva ogni giorno intorno a noi. Un giorno sono riusciti a portarmi da un medico. Gli ospedali, in quel periodo, erano pieni di persone ferite a causa dal conflitto. Mi mancava il respiro e quel giorno ho capito il perché.

Dal Senegal alla Libia, col respiro che mancava.
Sono nato senza il diaframma, il muscolo che permette di respirare ed espirare correttamente. Avrei dovuto sottopormi a terapie, curarmi, essere seguito da un medico ma nel mio Paese il sistema sanitario non garantiva queste cure, nessuno era in grado di aiutarmi. Intanto il conflitto continuava e tutti noi, anche chi non era parte di un gruppo politico o militare, avrebbe dovuto armarsi e combattere. Io non volevo. Così, col tempo, mettendo da parte dei soldi ho deciso di iniziare il viaggio per scappare dal mio Paese, alla ricerca di protezione, di pace e una vita dignitosa. Dal Senegal, passando dall’Algeria, sono arrivato in Libia. Continuava a mancarmi il respiro.

L’arrivo in Italia.
Da lì sono partito, insieme ad altri, per arrivare in Italia. Arrivato in Italia ho cercato un posto dove potessero curarmi. Non avevo più soldi con me, ero solo e non sapevo cosa mi sarebbe accaduto. Mi sono presentato presso un ospedale: da quel momento sono diventato un caso di studio per i medici. Ricoverato, sono stato sottoposto a terapie e a un intervento per una parziale ricostruzione. Il personale medico continuava a non capire come avessi fatto a sopravvivere tutti quegli anni senza respiro.
Sono stati loro ad informarmi dei miei diritti e ad aiutarmi a chiedere asilo. Ora lavoro come interprete con contratti di collaborazione a progetto. E mi è tornato il respiro. 

LA STORIA DI DESMOND

Come mi chiamo? Desmond.
Quanti anni ho? 30.
Da dove vengo? Dalla Nigeria, più precisamente dall’Edo State.
Qual è la mia storia? Ho lasciato la Nigeria nel 2008 dopo aver subito torture a causa dell’appartenenza religiosa di mio padre, che era un componente della setta degli Ogboni. Dopo la sua morte, avrei dovuto prendere il suo posto. A causa del mio rifiuto e di quello di mia madre, siamo stati rapiti e torturati. Quando avevo 17 anni sono stato appeso con le mani legate e bastonato ripetutamente alle anche e alle ginocchia. Quando siamo riusciti a scappare, mia madre ha usato tutti i nostri risparmi per acquistare un visto per uscire dalla Nigeria. L’unico disponibile era quello per la Siria. Ma io volevo trovare protezione in un Paese dell’Unione Europea, dove poter curare le mie gambe. Così dalla Siria sono arrivato in Turchia. Dalla Turchia, nonostante le gambe a stento mi reggessero in piedi, ho intrapreso la rotta balcanica. Sono arrivato in Italia nel dicembre 2015. Ho chiesto subito asilo. Le mie gambe non mi reggevano più in piedi.

Due interventi chirurgici.
In Italia sono stato seguito da un Centro di Riabilitazione per Vittime di Tortura e di trattamenti inumani e degradanti. È stata quindi diagnosticata una ‘Severa Artrosi bilaterale d’anca con impotenza funzionale sia articolare che muscolare agli arti inferiori’ a causa delle violenze subite e del ritardo delle cure necessarie. Dopo questa diagnosi sono stato sottoposto a due interventi chirurgici che mi hanno permesso, dopo mesi di riabilitazione, di tornare a camminare senza l’ausilio di stampelle.

Oggi lavoro come addetto alle pulizie di bagni pubblici con contratti di prestazione occasionale: non ho ancora i requisiti per convertire il permesso. Devo continuare a fare riabilitazione e forse dovrò affrontare una nuova operazione. Ma rientrare in Nigeria sarebbe per me come spezzarmi nuovamente le gambe.

Tratto da repubblica.it

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