Apriti alla possibilità
che vi sia altro, molto altro,
oltre a ciò che ti mostrano i sensi
Un baratto
A 18 anni ho venduto il mio spirito a Dio, come altri vendono la loro anima al diavolo.
Allora ero goffa, brutta, mingherlina, inetta, come il «brutto anatroccolo», ma avevo molto spirito… uno spirito chiaro, vivo, acuto, pungente, che mordeva senza misericordia.
Non appena una persona un tantino ridicola arrischiava di mostrarsi a me, l’acchiappavo al volo e la fissavo con una parola pungente, come si fissa un insetto su un tappo, con uno spillo. Ciò mi divertiva molto e faceva ridere la compagnia. Ma i miei cugini mi giudicavano «cattiva», e mio fratello mi chiamava «vipera». Avrebbe fatto meglio a dire zanzara o vespa.
Un giorno, però, ci pensai su e mi vidi tal quale ero col mio crudele pungiglione. Poteva forse una cristiana accettare di essere così?
Fui presa dal rimorso.
E una mattina ne parlai con Nostro Signore, dopo la Comunione.
Rinunciare al mio spirito? Cosa mi rimaneva senza di esso? Non avevo bellezza né fascino, niente che potesse piacere. Sacrificare il mio spirito? Non mi ci potevo decidere. Mi costava troppo. Mi costava tutto.
Dentro di me, Dio attendeva con aria di rimprovero. Fu allora che mi venne l’idea — forse fu Lui ad ispirarmela — di cedergli il mio spirito dietro ricompensa.
Un baratto.
Glielo vendetti. Caro. Senza far prezzi. Dio è ricco. Dio è giusto. E generoso, anche. Contavo che me l’avrebbe pagato bene. Una volta concluso il mercato — io negli affari sono onesta — non osai più servirmi dell’oggetto che avevo ceduto.
Da principio mi sentii legata, impacciata, come colpita da improvvisa infermità. Le parole mi volavano alle labbra, le inghiottivo già dette a metà. Il che non era sempre comodo.
Ma poi l’abitudine mi venne in aiuto. E diventai poco a poco la piccola, mite zitella cui nessuno fa caso, né in famiglia né fuori… cui nessuno fa caso più che a un fiammifero spento.
Sono passati vent’anni… Che cosa mi avrà dato il Buon Dio,
in cambio della mia malizia?
Non la bellezza. Non il fascino. Non l’amore. Non la felicità,
Forse il dono della poesia? Ma quello già lo avevo, sin dalla prima infanzia.
Ecco. Mi diede il dono di una vista nuova, per cogliere immediatamente, anziché il lato ridicolo, la bellezza e le qualità delle persone, anche di quelle che non ne hanno.
Al punto che oggi io le amo tanto, anche quando sono ridicole, sciocche e mediocri, da poter giocare di nuovo con la mia malizia, solo per divertirmi, senza far male a nessuno.
Marie Noel, Diario segreto
Tratto dal libro La morale della favola
a cura di Laura Vagliasindi
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