Touch me

Le tocco il culo(ne) e mi rendo conto che, nonostante la montagna di anni che mi porto sulle spalle, la cosa non passa inosservata ai piani bassi.
Lei sorride.
Per quanto di cattivo gusto, soprattutto all’interno di un locale pubblico, questo mio gesto da teenager in calore sembra farle piacere.

Abbiamo passato una vita insieme.
La verità è che mi auguro di poterle toccare il cuIo anche nel corso della prossima.

I nostri figli sono diventati genitori.
I loro figli, i nostri nipoti, sono invece alla prese con i primi amori.
Corrisposti e non.
Tutto come da copione.

Non sento più come una volta.
Sessant’anni fa il rumore prodotto dalle onde del mare contro gli scogli era la mia sveglia mattutina. Oggi, quando voglio fare una chiacchierata con gli amici, devo mettermi uno stupido aggeggio nell’orecchio.
Una specie di alveare pieno di api isteriche impiantato nel cervello.

Con lei è diverso.
Noi ci parliamo con gli occhi.
Basta uno sguardo ed è già tutto chiaro.
Poche parole.
Solo quando è necessario. Praticamente mai.

Dopo cinquant’anni di matrimonio, almeno un milione di sacchi di immondizia gettati nei vari cassonetti, e altrettanti rimproveri per non aver fatto, o per aver fatto ma non nel modo corretto, siamo ancora qui: nel pub di un paesino di provincia, aspettando che un sabato pomeriggio qualunque si trasformi in oscurità.

Lo so che fa ridere.
Due più che ottantenni seduti al banco di un bar a bere due pinte di Guinness.
Alla faccia della gastrite e della prostata ingrossata.
Sembra la scena di un film di Fellini.

Parlano di qualche mese.
Tre, forse addirittura sei.
Probabilmente quattro.

So che non dovrei prendermela troppo.
In fondo ho campato parecchio. Ci sono migliaia di bambini che muoiono ogni giorno. Anche ora: in questo preciso instante.
Se sommando le loro giovani età fino a raggiungere i miei anni, avessi la certezza che questa mia uscita di scena potesse salvare loro la vita, beh… me ne andrei più tranquillo.
So che non è così.
Non lo sarà mai.

Non esiste alcun contratto dove sta scritto che la vita è una questione di algebra.
Non esiste alcun contratto, per la verità.

Lei non lo sa ancora.
Non ho il coraggio di dirglielo.
Come si reagisce alla notizia che il tizio con cui dormi da più di mezzo secolo, tra qualche mese sarà solo un cuscino vuoto?
Non lo so.

Ho paura.
Non solo per me. Anche per lei.

La verità è che non siamo fatti per morire.
Lo so che sembra infantile come ragionamento, ma vi posso garantire che le cose stanno proprio così. Ogni giorno vivi la vita ai cento all’ora con la voglia matta di alzare il piede dall’acceleratore. Poi, senza alcun preavviso, si accende la spia rossa e allora ti fermi a fare rifornimento. Sali di nuovo in macchina, giri la chiave e – colpo di scena – non accade nulla. Il motore non ruggisce più. È morto. Ma com’è possibile? Ti chiedi. Stavo viaggiando alla velocità della luce proprio un attimo fa. Avevo dei progetti, degli assi nella manica da giocare al momento giusto, e ora invece mi ritrovo con le mutande calate all’altezza delle ginocchia in attesa che un corpo estraneo penetri nelle mie stanze e faccia piazza pulita.

Credetemi: anche a ottant’anni si fanno progetti.
E uno di quelli più ricorrenti, ironia della sorte, è proprio quello di non morire.
Comico, no?

– Ci facciamo un altro giro?
La guardo. E’ bellissima. Con il vestito a pois e gli occhiali in tinta.
– Perché no! – esclamo – In fondo…

Lascio la frase a metà.
Lei aggrotta le sopracciglia.

Forse ha capito.
Forse no.
Forse… chissà.

Faccio segno al barista di portarne altre due.
Lui annuisce.

– Hai ancora un gran bel culo – le dico aggiustandomi il berretto.
Lei sorride.
Una carezza sulla guancia.
Chiudo gli occhi e mi preparo al prossimo giro.

Di Birra.
Di Vita.

Alessandro Casalini Scrittore
Tratto da colorivivacimagazine.com

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